Le difficoltà di un giornalista in Tunisia: „Tra il dire e il fare…“

 

Come si suol dire, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e i buoni propositi spesso vanno naufragando tra difficoltà e imprevisti. Delle priorità s’impongono e indubbiamente qualcosa viene sacrificato, come la mia dedizione nel redigere questo blog. Sono passati ormai due mesi dal mio rientro in Tunisia e forse giungo in eccessivo ritardo per tirare un bilancio o per provare a riassumere questa incredibile esperienza, ma credo sia un più che doveroso obbligo. Scelgo di farlo nella mia lingua materna, conscio che risulterà purtroppo incomprensibile a molti, ma d’altronde, quale primo (a quanto mi risulta) italofono ad aver partecipato a questa brillante iniziativa di cooperazione organizzata dalla scuola di giornalismo MAZ e dal DFAE, ci tengo a rappresentare pure la nostra cultura, parte integrante della Svizzera.

Il giornalismo in Tunisia

Bando alle ciance, torniamo alla Tunisia, a Tunisi, a “Leaders”. Inutile nascondersi, le cose nella mia redazione ospitante non sono andate in ossequio alle più rosee aspettative. Di certo non per questioni umane, anzi ho trovato sulla mia strada persone fantastiche, con le quali forse è stato difficile interagire inizialmente per imprescindibili differenze culturali, ma si è poi sviluppato un solido rapporto professionale e umano che porterò sempre con me. Il problema è stato probabilmente proprio alla base: “Leaders”, magazine economico esistente da una dozzina d’anni, inizialmente solo in francese, poi pubblicato pure in versione araba, non ha probabilmente quello spessore giornalistico che dà l’impressione di avere a primo acchito. Preciso, non lo ha ai nostri occhi, non lo ha ai sensi dei nostri paletti e criteri validi nei media occidentali. Certo, nel panorama in cui s’inserisce, la qualità dei suoi testi è senz’altro rimarchevole, alcuni reportage all’estero sono degni di nota e non mancano informazioni interessanti sull’economia nazionale e soprattutto sui suoi attori, ma il tutto è purtroppo tendenzialmente declinato al servizio delle dinamiche finanziarie, fondamentali per permettere di sopravvivere a un media che si indirizza a una ristretta nicchia di lettori, facente parte soprattutto dell’élite economica e politica tunisina. Mi ero preparato a (quasi) ogni scenario prima di partire, ero cosciente delle difficoltà, ma mi sarei atteso di incontrare qualche giornalista in più sul mio percorso. La scena si è però rivelata abbastanza desolante e qui allargo il discorso alla qualità dei media tunisini in generale. La libertà di opinione e parola è arrivata da soli otto anni nel paese maghrebino e ciò va a tutto discapito della qualità giornalistica, in una cultura dove i professionisti del settore sono stati inquadrati per anni alla censura e sono ora succubi dei comunicati stampa. Non va fatta di tutta l’erba un fascio, basti notare mirabili esempi come “Inkyfada e “Nawaat”, ma la sensazione è che anche i cittadini probabilmente non abbiano bene in chiaro cosa dovrebbe proporre un media. In un paese in cui intellettuali, giornalisti, oppositori, funzionari, ecc. hanno dovuto cucirsi la bocca per decenni, la conquista improvvisa della libertà d’espressione ha generato una babele di opinioni e un caos politico che, uniti ad altri fattori, hanno impedito alla Tunisia di trovare una certa stabilità che possa dare sicurezza al paese e assicurare un apparato governativo capace di offrire garanzie all’economia e al sistema sociale. La transizione democratica si è rivelata più complicata del previsto e la Tunisia si è trovata con uno Stato debole, che secondo alcuni può essere persino più pericoloso di un regime dittatoriale, come sostiene Abdelkrim Hizouai, presidente del Media Development Centre di Tunisi: « Dalla dominazione del regime siamo passati a quella delle lobby » mi ha spiegato in un’intervista (vedasi Corriere del Ticino del 17.01.2019). Secondo il professore tunisino, la professione di giornalista è vittima di una grave crisi identitaria anche perché dal 2011, « tanti attivisti si sono convertiti in giornalisti senza averne le conoscenze e questo evidentemente non è stato un progresso ».

„Assalto“ mediatico a un ministro durante una conferenza stampa indetta per presentare un progetto di risparmio energetico a Tozeur, alle porte del Sahara.
Un paese dalle molteplici potenzialità 

A ormai otto anni di distanza dalla rivoluzione, la Tunisia che ho avuto modo di conoscere, durante dieci settimane, è un paese che ti ammalia e ti frustra al tempo stesso. Basta prendersi il tempo per uscire dalle piste turistiche più battute per scoprire una cultura affascinante che ha conservato ancora molti tratti tradizionali, spesso poco valorizzati. Il tunisino medio è orgoglioso di presentarti i suoi valori e le peculiarità della sua patria, ma d’altra parte ha sempre occhi e orecchie rivolte altrove, soprattutto verso l’Europa. L’industria e la produzione di energia avrebbero grandissime potenzialità, ma sono stritolate dalla crisi economica e dall’incertezza politica che oltretutto scoraggia i possibili investitori stranieri. Il turismo sta tornando a decollare, ma fatica a scrollarsi di dosso l’etichetta da “vacanze balneari low-cost”, a tutto discapito di un turismo più autentico e culturale che porterebbe anche benefici maggiori all’economia. La ricchezza del patrimonio architettonico e archeologico ha probabilmente ben pochi eguali, ma senza i necessari investimenti corre il rischio di sbriciolarsi anno dopo anno. Tanta bellezza, tanti problemi.

Il sito archeologico di Cartagine, patrimonio dell’Unesco, è minacciato dalla speculazione edilizia.

Alla Tunisia, ai tunisini, che mi hanno accolto come un fratello, auguro di potere uscire vincitori dall’apparente spirale negativa in cui si sono ritrovati. Lo meritano, ma devono crederci fino in fondo, unirsi e non sperare che i risultati possano magicamente arrivare dall’oggi al domani. Lungi da me sentenziare alcunché, non sono nessuno per potere giudicare o valutare una situazione così complessa e intricata, ma se c’è un consiglio che vorrei offrire loro, da osservatore esterno, è quello di portare pazienza. Alla pazienza, aggiungerci la dedizione. Sì, quella che mi è mancata per raccontarvi di più di questo magnifico paese, che mi ha letteralmente travolto. In Tunisia non si può vivere come a 50 km/h su una strada cantonale, no. Si sta bloccati nel traffico per ore, per poi sfrecciare a 100 all’ora attraverso il deserto, rallentando giusto il tempo di osservare estasiati un’oasi, mentre si sogna il piatto di couscous che ci attende all’arrivo. Attenzione però, perché la strada può rivelarsi tortuosa e un cammello potrebbe sempre rivelarsi dietro l’angolo… 

Ultimo tramonto tunisino, sull’isola di Djerba, il 29 dicembre 2018.

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